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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Cicerone
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Della divinazione, II, 44
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originale
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44 nam esset mirabile, quo modo id Iuppiter totiens iaceret, cum unum haberet; nec vero fulminibus homines quid aut faciendum esset aut cavendum moneret. Placet enim Stoicis eos anhelitus terrae qui frigidi sint cum fluere coeperint ventos esse; cum autem se in nubem induerint eiusque tenuissimam quamque partem coeperint dividere atque disrumpere idque crebrius facere et vehementius, tum et fulgores et tonitrua exsistere; si autem nubium conflictu ardor expressus se emiserit, id esse fulmen. Quod igitur vi naturae, nulla constantia, nullo raro tempore videmus effici, ex eo significationem rerum consequentium quaerimus? Scilicet, si ista Iuppiter significaret, tam multa frustra fulmina emitteret!
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traduzione
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44 sarebbe davvero strano che Giove lo scagliasse tante volte, avendone a disposizione uno solo; n? egli potrebbe, mediante i fulmini, ammonire gli uomini su ci? che devono fare o non fare. Gli stoici affermano che quelle esalazioni della terra che sono fredde, quando incominciano a fluire, costituiscono i venti; quando poi penetrano in una nube e incominciano a scindere e a squarciare le sue parti meno dense, e fanno ci? con particolare frequenza e violenza, allora ecco che sorgono i lampi e i tuoni; se, poi, un fuoco prodotto dal cozzo delle nubi si sprigiona, ecco il fulmine. Dunque da ci? che vediamo prodursi per forza di natura, senza alcuna regolarit?, in nessun tempo determinato, ricaveremo un presagio di necessari avvenimenti futuri? Sta a vedere che, se Giove volesse dare simili preannunci, scaglierebbe inutilmente tanti fulmini!
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